Arturo Ferrarin

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Siamo cresciuti con l’idea che imbarcarsi su un aereo in Europa e volare fino a Tokyo, in Giappone, sia come prendere un autobus fino alla città vicina, ma per l’uomo che lo ha fatto per la prima volta, soltanto ottantacinque anni fa, l’aviatore italiano Arturo Ferrarin era qualcosa simile ad una follia.  Arturo Ferrarin nacque vicino Vicenza il 13 febbraio 1895 da una ricca famiglia di industriali tessili: la fabbrica che possedevano, Lanificio Ferrarin è ancora attiva. Alla nascita era stato soprannominato “il Moro” per il colore scuro della sua pelle, e questo nome rimase con lui per il resto della sua vita.
Durante la sua gioventù studiò a Vicenza, dove diventò ragioniere; suo padre aveva già programmato la sua vita: avrebbe lavorato per gli affari di famiglia, occupandosi delle fatture e dei conti. Le cose cambiarono improvvisamente quando l’Italia entrò nella I Guerra Mondiale nel 1915. Fu arruolato nell’aviazione con i suoi due fratelli. All’inizio della guerra gli aerei italiani erano tecnicamente inferiori a quelli costruiti dalla Germania e dall’Austria ma alla fine del 1917 i miglioramenti effettuati dagli italiani erano chiari a tutti;infatti gli italiani furono i primi a impiegare bombardieri pesanti, costruiti vicino Varese da Caproni, vendendoli addirittura agli Stati Uniti. I bombardamenti aerei sono sempre stati un affare italiano, gli italiani avevano inventato la nuova tecnica lanciando granate ai Turchi durante la Guerra in Libia nel 1911. Nel 1918 l’Italia era un superpotere d’aviazione con quattromila aeroplani al fronte e duemila in riserva. Arturo divenne un pilota competente e sul Piave abbatté due aerei da guerra nemici guadagnandosi la medaglia d’argento e successivamente due di bronzo. Volava nella squadra di Francesco Baracca, il cui simbolo, il cavallino rampante, è stato dato a Enzo ferrari dalla sua vedova. È ancora oggi il logo della Ferrari. Quando la guerra finì, Arturo si rifiutò di scendere dall’aereo per occuparsi dei conti di suo padre. Diversamente a quanto programmato dal padre, girò l’Europa come da audace artista acrobata, tanto audace da scendere a terra diverse volte ma , a causa della sua popolarità, fu sempre rimesso in cabina. L’idea di volare da Roma a Tokyo venne fuori dalle menti di due “poeti della guerra”, l’italiano Gabriele D’Annunzio e il giapponese Koichi Shimoi, quando si incontrarono per la prima volta a Padova nel 1916. Quando i piloti, personalmente scelti da D’Annunzio, furono finalmente pronti per decollare dall’aeroporto di Centocelle, dopo una serie di problemi sorti dalle tensioni politiche di quel periodo, pochissime persone erano lì, nonostante tutte le autorità giapponesi con sede a Roma fossero presenti. Dopo alcuni giorni di volo solo due aerei erano ancora in aria, uno era quello di Ferrarin, con Gino Capannini come ingegnere e l’altro quello di Guido Masiero (1985-1942) con Roberto Maretto. Ferrarin e Maretto erano entrambi destinati a raggiungere Tokyo ma quest’ultimo fu squalificato perché prese un treno da Delhi a Calcutta e una nave da Canton a Shanghai. Raggiunsero la prima base a Smirne il 18 febbraio 1920, dopo molti scali tecnici, volando anche sui campi di battaglia dove si stava ancora svolgendo la guerra turco-russa e sul deserto, Ferrarin da solo, dato che Mansiero era rimasto indietro. Il !° di marzo era a Bandar Abbas. Lì incontrò un altro spericolato: il capitano australiano Mathews, che stava tentando di volare da Londra a Sidney, e volarono fianco a fianco fino a Calcutta. A Delhi atterrò di notte ed ebbe dei problemi a trovare il luogo giusto finendo col rompere le ruote dell’aereo. Lasciò Delhi il 10 marzo e, una volta raggiunta Calcutta, trovò un ordine da Roma di aspettare la pattuglia di cinque aerei SVA sotto il comando del capitan Gordesco, ma non si fecero vivi quindi Ferrarin partì nuovamente per Rangoon, dove atterrò il 2 aprile con un motore rotto: dovette attendere un nuovo motore da Calcutta. In quel momento Masiero superava Bangkok. Dopo la sostituzione del motore gli fu possibile volare sul Vietnam, affrontando i terribili monsoni e il 18 aprile atterrò a Hanoi. Il 21, di nuovo con Masiero, raggiunsero Canton. La città era allagata per la pioggia e non riuscivano a trovare dove fosse l’aeroporto. La folla capì e mostrò loro dove era indicandolo con gli ombrelli. Erano agitati ed entusiasti e incisero una pietra con il viso di Ferrarin che fu posta nel tempio dei 500 buddha vicino all’effigie di Marco Polo. Ferrarin scaricò un sacco di lettere dal suo aeroplano e fu la prima consegna di posta aerea in Cina! Lasciare Canton si rivelò estremamente pericoloso a causa delle tempeste tropicali e l’aereo di Masiero rimase distrutto in una risaia dove si schiantò subito dopo il decollo.
Il 28 aprile era a Fuzhou, atterrando in una pista da corsa, dove la popolazione locale vide per la prima volta un apparecchio volante. Fu ospite della famiglia Theodoli che gestiva i propri affari lì. Il 2 di maggio arrivò trionfalmente a Shanghai, poi il 10 a Tsingtao. Il 18 atterrò a Pechino e dopo una settimana di celebrazioni, il 25 arrivò a Seoul e questa volta atterrò nel letto di un fiume secco e lì rivide di nuovo Masiero e il suo nuovo aeroplano. Il 29 arrivò a Osaka e il 31 di maggio, volando attraverso una fitta nebbia, raggiunsero Tokyo, dove 200,000 persone li stavano aspettando con i visi rivolti verso l’alto a Yoyogi Park e gridavano “Italia Banzai!” Non appena atterrarono l’Ambasciatore italiano, Paolucci, consegnò un messaggio appena ricevuto da Vicenza. Diceva: “Noi stiamo bene, è il 72esimo compleanno di tuo padre, ci rallegriamo della tua gloria. Genitori Ferrarin”. Ebbero 42 giorni di trionfo in Giappone, prima di ritornare in Italia via mare, ma nonostante tutta la gloria e l’acclamazione Ferrarin rimase sempre un semplice ragazzo di campagna, incapace di fare anche il più semplice discorso in pubblico senza balbettare, benchè fosse impavido sull’aereo da guerra. Il suo aereo SVA fu messo in un museo in Giappone, ma gli ordini che gli industriali italiani stavano aspettando non si materializzarono mai. I giapponesi andarono avanti da soli producendo aerei simili per conto loro. Tornato in Italia Ferrarin divenne una sorta di ambasciatore per l’industria d’aviazione italiana, girando l’Europa. Seguendo i suoi passi, Francesco de Pinedo ebbe un’altra trovata per la forza d’aviazione italiana nel 1924 volando su un idrovolante da Roma fino in Australia, poi a Tokyo e indietro per un totale di 55.000 kilometri. Fece uno scalo anche ad Hong Kong (Beltrame dipinse uno dei suoi splendidi quadri mostrando il suo aereo ormeggiato vicino il “molo delle Stelle” per la Domenica del Corriere). Arturo Ferrarin contribuì alla vittoria italiana del trofeo Schneider nel 1926. Poi, nel 1928 con il suo amico, Carlo Del Prete, volò da Roma per il Brasile ma quest’ultimo morì durante la traversata. La fortuna d Ferrarin finì con un terribile incidente, che causò la morte di una figura italiana importantel. Fece volare il figlio di Giovanni Agnelli, Edoardo, il padre dell’ultimo presidente della FIAT Gianni Agnelli, per Genova in un idrovolante a due posti, ma non appena toccarono l’acqua, Agnelli impaziente di slacciare la cintura, si alzò dal sedile ma l’aereo colpì qualcosa che galleggiava nel mare e Agnelli cadde in acqua dove la sua testa fu schiacciata dall’elica. Dopo questa tragedia il fondatore della FIAT dichiarò una meschina e implacabile guerra contro Ferrarin, sebbene lui non fosse responsabile per l’accaduto. Arturo Ferrarin morì nel 1941 testando un SAI 107, un nuovo tipo di aereo da guerra, all’aeroporto di Guidonia.


Fonte: articolo di Angelo Paratico

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