Matteo Ricci

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CRONOLOGIA DELLA VITA

1552, Il 6 ottobre nasce a Macerata.
1561-68,  Studia al collegio dei Gesuiti a Macerata.
1568, Viene inviato dal padre a Roma a studiare Diritto.
1571, Interrompe gli studi ed entra nel noviziato della Compagnia di Gesù.
1572-77, Emette i primi voti; trascorre alcuni mesi in un collegio in Toscana (forse Firenze), quindi acquisisce una preparazione umanistica e scientifica al Collegio Romano.
1577, Destinato alle missioni d'Oriente, si reca a Lisbona, dal cui porto ogni primavera parte una nave per l'India. Attende sei mesi nel collegio di Coimbra, iniziando forse a studiare teologia.
1578, Salpa il 24 marzo da Lisbona e giunge il 13 settembre a Goa.


1579-82,  Compie gli studi teologici; insegna lettere classiche ai ragazzi dei collegi di Goa e Cochin; viene ordinato sacerdote (1580); riceve l'ordine di recarsi a Macao per aiutare il p. Ruggeri nel tentativo di entrare in Cina. Il 7 agosto 1582 giunge a Macao.
1583, In settembre entra in Cina con Ruggeri e fonda con lui la prima residenza di Zhaoqing.
1584, Pubblica il primo Mappamondo cinese. Collabora con Ruggeri alla prima stesura in cinese del Catechismo.
1585, Dopo alcuni tentativi falliti di aprire nuove residenze, Ruggeri è inviato a Roma per sollecitare una ambasciata dal Papa presso l'imperatore della Cina. Ricci rimane a Zhaoqing con il p. De Almeida.
1589, Il nuovo viceré del Guangdong espelle i missionari da Zhaoqing. Dopo varie trattative, Ricci ottiene di essere iviato a Shaozhou, dove fonda la seconda residenza.
1592, La residenza di Shaozhou è assalita da ladri. Ricci si sloga un piede e rimane permanentemente claudicante.
1593, Inizia a scrivere il Catechismo in cinese.
1594, Primo tentativo di raggiungere Pechino al seguito di un generale cinese destinato al fronte coreano. Giunto a Nachino, deve tornare indietro.
1595, Si ferma a Nanchang, dove fonda la terza residenza e pubblica la prima opera in cinese: il trattato Sull'amicizia.
1597, E' nominato superiore della missione cinese.
1598, Al seguito del ministro dei riti Wang Chung Ming raggiunge Pechino, che decide tuttavia di lasciare a causa della guerra di Corea.
1599, Si stabilisce a Nanchino e vi fonda la quarta residenza missionaria.
1600, In maggio parte di nuovo per Pechino, ma è arrestato sul cammino dal potente eunuco Ma Tang, che lo trattiene nella fortezza di Tientsin fino al gennaio 1601.
1601, 24 gennaio: in forza di un decreto imperiale, viene accolto nella Città Proibita come ambasciatore d'Europa. Vivrà a Pechino fino alla morte sostenuto dall'imperatore e a spese del pubblico erario.
1602, Ristampa in terza edizione il Mappamondo cinese.
1603, Stampa Catechismo o Vera Spiegazione del Signore del Cielo.
1605, Pubblica il Sommario della dottrina cristiana e le Venticinque sentenze morali.
1607, Pubblica la traduzione dei primi sei libri della Geometria di Euclide, in collaborazione con l'amico Xu Guangqi.
1608, Stampa i Dieci paradossi o Dieci capitoli di un uomo strano; nello stesso anno inizia la redazione della sua opera storica: Della Entrata della Compagnia di Gesù e Christianità nella Cina.
1610, Muore l'11 maggio. Per la prima volta nella storia della Cina viene concesso un terreno dello stato per la sepoltura di uno straniero

VITA
Fonte: C.Gentili, Matteo Ricci. http://www.tuttocina.it/Tuttocina/Storia/ricci.htm



Matteo Ricci, pioniere delle missioni cattoliche moderne di Cina, nasce a Macerata il 6 ottobre 1552, studia diritto per tre anni (1568-'71) e il 15 agosto 1572 entra nel noviziato dei gesuiti a S. Andrea al Quirinale. Nel Collegio Romano segue i corsi di retorica e filosofia, e quelli di matematica, astronomia, cosmografia e altre scienze esatte sotto il celebre P. Cristoforo Clavio, lo scienziato tedesco, il cui nome è legato alla riforma del Calendario detto gregoriano (1572-'77). Raggiunge Goa, la base portoghese in India, il 13 settembre 1578 e nel 1582 inizia gli studi di cinese a Macau, sulla costa sud della Cina.
L'allora visitatore generale delle missioni gesuitiche d'Oriente, il P. Alessandro Valignano (1539-1606), si proponeva di preparare alcuni uomini per un eventuale inizio delle missioni cattoliche all'interno della Cina, e aveva in precedenza designato anche Michele Ruggieri (1542-1607), che dal 1579 si dedicava a Macau allo studio della lingua e delle istituzioni cinesi.
Dal 10 settembre 1583, Ricci e Ruggieri possono risiedere a Zhaoqing (prov. del Guangdong), allora residenza del governatore del Guangdong-Guangxi. Entrano in cordiale relazione con i letterati del luogo, interessandoli anche con oggetti europei quali un mappamondo, orologi, ecc. Ottengono il permesso di edificare nella città una casa, e una chiesa, che intitolano al "Fior dei Santi", cioè alla Vergine Maria.
Il Ricci racconta così l'ingresso a Zhaoqing e il ricevimento avuto al palazzo del governatore: "(I Padri) furono ricevuti con molta benignità; ...domandò loro il governatore chi erano, di dove venivano e che volevano; risposero ... che erano religiosi ... venuti attratti dalla fama del buon governo della Cina, e solo desideravano un luogo dove potessero fare una casetta e una chiesuola ... servendo fino alla morte al loro Dio". Parole semplici, ma contenenti tutto un programma. I primi inizi del lavoro missionario sono lenti e dettati da grande prudenza. Il Ricci impernia il suo apostolato su due cardini: lo studio della letteratura cinese e delle scienze matematiche, e l'esercizio della carità cristiana.
I due gesuiti incominciano a propagare la dottrina cristiana attraverso i loro contatti con letterati e mandarini. Nel dicembre 1584 si stampa un breve catechismo in cinese composto dal Ruggieri e messo in buona lingua con l'aiuto di un letterato del Fujian, che ha ricevuto il battesimo in quell'anno con il nome di Paolo. Questo Tianzhu Shilu è il primo libro stampato da stranieri in Cina; dapprima in una tiratura di 1.200 copie, seguita da ristampe. Il Ricci compose in questo periodo anche il Mappamondo in lingua cinese; un'opera su cui continuò a lavorare negli anni seguenti.
Frattanto il Valignano, pensando che un'ambasceria papale alla corte del Figlio del Cielo avrebbe potuto risolvere il problema dell'evangelizzazione della Cina, inviò a Roma (25 novembre 1588) il P. Ruggieri, come il più indicato per illustrare l'opportunità di tale progetto. Ma per varie difficoltà sopraggiunte non fu possibile organizzare questa ambasceria; il Ruggieri fu dai superiori fermato in Italia, dove morì nel 1607.
La permanenza a Zhaoqing è irta di contrasti e difficoltà di ogni genere, calunnie e citazioni in tribunale. Nell'agosto 1589, Ricci e compagni sono espulsi dalla Cina, e si ritirano a Macau, ma ricevono quasi subito il permesso di ritornarvi; questa volta per risiedere a Qujiang (Shaozhou) nel nord della provincia del Guangdong.
Ricci e Ruggieri dapprima in quanto religiosi indossavano l'abito dei bonzi. Ma i bonzi in Cina non godevano di molta considerazione, sia presso il popolo che presso i letterati e i mandarini. A Qujiang il Ricci abbandona l'abito dei bonzi per adottare le vesti e l'etichetta sociale dei letterati. Si presentò come "teologo, predicatore e letterato occidentale; si studiò di modellare la sua vita su quella dei letterati e dotti cinesi; adottò quindi l'abbigliamento proprio dei letterati. E con la foggia del vestito armonizzò, naturalmente, tutta la sua maniera del vivere esteriormente; si lasciò crescere la barba e i capelli, ciò che non facevano i bonzi; nello spostarsi da un posto all'altro della città si serviva della portantina, accompagnato da due o tre servitori" .
Del periodo di Qujiang è il trattatello di Ricci su L'amicizia, e un atlantino con testi esplicativi.
Dopo un primo viaggio a Nanchino, Ricci fonda nel 1595 la residenza di Nanchang, capitale provinciale del Jiangxi. Nel 1598 riesce a spingersi in viaggio fino a Pechino. La lunga esperienza di sedici anni ha rafforzato, nel Ricci, la convinzione che la diffusione dell'idea cristiana in Cina ha bisogno dell'approvazione ufficiale per i predicatori e libertà per i cinesi di abbracciarla e professarla pubblicamente. Ma questa approvazione e libertà non possono ottenersi fino a quando non fosse arrivato vicino alla corte di Pechino. L'occasione propizia gli viene data ai primi di luglio del 1598, quando il ministro dei riti di Nanchino, suo amico, dovendosi recare a Pechino per la revisione del calendario cinese, vuol condurre con sé anche l'occidentale che conosce la scienza matematica.
Il 25 giugno 1598 il Ricci lascia Nanchang per Pechino, dove arriva dopo un avventuroso viaggio il 7 settembre 1598. La sua permanenza nella capitale è di breve durata, perché a causa della guerra cino-giapponese per la Corea gli stranieri sono mal visti. Il Ricci risolve di tornare a Nanchino aspettando miglior tempo e migliore occasione, prima che gli accada in questa città qualche disgrazia che possa danneggiare le altre residenze e così "impedire la possibilità di un secondo ritorno" a Pechino, come egli stesso scrive. Il 5 novembre 1598 lascia Pechino e torna a Nanchino, dove giunge il 6 febbraio 1599; e questa volta riesce a stabilirvi la sua residenza.
Nel lungo viaggio di oltre un mese in barca da Pechino a Linqing (prov. dello Shandong), Ricci perfeziona il dizionarietto portoghese-cinese su cui lavora da anni (ed è il primo lavoro sinologico del genere) annotando toni e consonanti aspirate. Completa anche una parafrasi latina dei "quattro libri" confuciani.
A Nanchino è ben accolto e riesce a far amicizia con personalità governative e uomini di cultura. Comincia a dare regolari lezioni di scienze occidentali a visitatori sempre più numerosi. Si parla molto di lui in Cina nel ceto colto. E lui non lascia perdere occasione per parlare di religione. Raccomandato dai suoi amici di Nanchino, il 19 maggio del 1600 si rimette in viaggio per Pechino, dove giunge il 24 gennaio 1601 e riesce a stabilirvisi definitivamente, grazie ai doni presentati a corte. L'imperatore in persona se ne interessa e permette a Ricci e ai suoi di aprire una chiesa, anzi dispone che siano sostentati a spese dell'erario. Frequenti erano gli inviti al palazzo imperiale e le visite dei più ragguardevoli mandarini, i quali lo consideravano non più come "curioso straniero", ma come rispettato dottore. Lo salutavano e lo riverivano da pari.
Gli Elementi di Euclide
tradotto da Matteo Ricci.
OPERE
Man mano che il Ricci missionario faceva progressi nello studio della lingua, traduceva o scriveva in cinese le cognizioni di matematica, astronomia e di cosmografia, cui si era dedicato durante la sua permanenza a Roma, con tatto e prudenza si diede a correggere le credenze astronomiche dei cinesi e le loro cognizioni geografiche, poiché, come egli stesso si esprime, "non si poteva in quei tempi trovare cosa più utile a disporre gli animi dei cinesi alla nostra religione di questa". Mentre professava una schietta ammirazione per la Cina, faceva intravedere ai cinesi che c'era qualche cosa che essi non conoscevano e che egli poteva insegnar loro.


Dal 1595 cominciò a comporre libri di scienze e di religione: le sue opere, accolte con singolare favore e ammirazione, trattavano di cartografia, matematica, filosofia morale, teologia e apologetica. Tra i lavori scientifici emerge il grande Mappamondo cinese (misure: m 3,75 x 1,80); la prima edizione di Qujiang, di cui si è già accennato, venne perfezionata a Nanchino e a Pechino, dove fu fatta la sesta edizione nel 1607.
L'imperatore stesso ne fu talmente entusiasta che nel 1608 ne fece fare una nuova ristampa e ne chiese 12 copie per sé. Copie di questoMappamondo cinese ne rimangono, presentemente, a Pechino, Londra e nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Il Ricci vi raffigurò i continenti e le isole fino allora scoperti. Così veniva portata a conoscenza dei cinesi l'esistenza di molti nuovi e lontani Paesi e, quindi, della stessa Europa.
Vicino ai nomi delle principali località il Ricci annotò notizie storiche; per esempio, vicino al nome "Giudea" si legge: "Il Signore del Cielo s'è incarnato in questo Paese, perciò si chiama Terra Santa". Vicino al nome "Italia": "Qui il Re della Civiltà (= Papa), nel celibato, si occupa unicamente di religione. Egli è venerato da tutti i sudditi degli Stati d'Europa, che formano il romano impero". Questa breve notizia sul Papa diede ai cinesi un'alta idea del pontificato romano. Oltre a far conoscere la religione cattolica ai cinesi, il Mappamondo serviva anche a dissipare dalla loro mente il pregiudizio, secondo il quale tutti quelli che non erano cinesi venivano considerati "barbari".
I "Dieci paradossi" (Qiren Shipian), opera di carattere morale, venne stampata nel 1607. Il titolo cinese significa propriamente: "Dieci capitoli di un uomo strano". L'uomo strano è il Ricci, considerato singolare dai cinesi, oltre che per le sue caratteristiche somatiche europee e per la sua barba fluente, soprattutto per la sua prodigiosa memoria, per l'inesplicabile celibato, per la sua fede in Dio da lui professata apertamente. L'appellativo di "strano" assumeva un significato benevolo presso i cinesi, i quali vi vedevano un'allusione a una celebre frase di Confucio: "L'uomo è strano per gli uomini, ma è simile a Dio".
Come dice il titolo stesso, il libro si compone di dieci capitoli, nei quali si citano delle massime, tratte da filosofi occidentali, da dotti cristiani e dalla Sacra Scrittura, comunissime ai cristiani, ma veri paradossi per i cinesi. Per esempio: "È utile pensare constantemente alla morte"; "È bene esaminare le proprie colpe"; "È infelice il ricco avaro, mentre può essere felice il povero mendìco".
Il libro piacque molto e contribuì a far aumentare presso i dotti cinesi la stima verso i "letterati occidentali".
Tra l'ottobre-dicembre 1603 fu dato alle stampe (circolava già come manoscritto) l'opera dal titolo "Genuina nozione di Dio" (Tianzhu Shiyi). Nella prefazione scritta da Feng Yingjing, intimo amico del Ricci, il missionario viene chiamato per la prima volta "dottore". Il Ricci, con argomentazioni filosofiche e con l'autorità dei classici cinesi, prova l'esistenza di Dio, creatore e governatore di tutti gli esseri creati. Dimostra l'immortalità dell'anima umana e la sua differenza dallo spirito vitale delle bestie; confuta il monismo panteistico, molto diffuso tra i letterati cinesi del tempo, e la dottrina della metempsicosi. Tra le opere del Ricci, questa è stata coronata dal più strepitoso successo, non solo in Cina, ma anche in Giappone e negli altri Paesi dell'Estremo Oriente.
Nel volumetto del 1595, dal titolo Trattato sull'amicizia, il Ricci riporta in cinese detti dei filosofi e santi occidentali sull'amicizia. Un'opera che fu spesso stampata in diverse province "con molto applauso di tutti i letterati" facendo "stupire tutto il Regno". Lo scopo del Ricci nello scrivere questo trattatello fu di dimostrare ai cinesi che gli occidentali non erano "barbari", e che lui, conoscendo bene la letteratura della sua patria, aveva diritto al titolo di "letterato". Il libro fu dedicato al principe Qianzhai, il quale a sua volta regalò all'autore una raccolta di pitture cinesi, che recano sul frontespizio un'incisione raffigurante lo stesso principe in atto di conversare con il "letterato straniero". I letterati pieni di ammirazione chiamavano il Ricci "uomo geniale", dandogli così il titolo più ambito usato allora in Cina. La versione italiana, rimasta inedita per più secoli, fu stampata a Pesaro nel 1825, per opera di Michele Ferrucci.
Vi è, inoltre, un cospicuo gruppo di scritti ricciani destinati ai lettori europei, cioè le lettere del Ricci, scritte in italiano e portoghese, e l'ampia relazione Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina, che egli scrisse in italiano negli ultimi anni della sua vita. Quest'opera, sebbene scritta dal Ricci in italiano, apparve nella prima edizione europea, e in quelle successive, in una elegante versione latina, curata dal P. Nicolò Trigault, s.j., belga (1577-1628), il quale presentò sé come autore e il Ricci come fonte. Il P. Trigault arrivò in Cina nel 1610, quando il Ricci non era più in vita; visitò le varie cristianità e aggiunse all'opera del Ricci cinque capitoli in portoghese su i nuovi sviluppi della missione. Il 9 febbraio 1613, tornò in Europa portando con sé il manoscritto ricciano che, durante il viaggio, tradusse in latino e fu pubblicato in Germania col titolo: "De Christiana Expeditione apud Sinas ab Socjetate Jesu suscepta ex P. Matthaei Ricij Commentarijs Libri V, Auctore P. Nicolao Trigautio, Belga, ex eadem Societate, Augustae Vind.,1615".
In occasione del terzo centenario della morte (1910) del P. Matteo Ricci, il P. Pietro Tacchi Venturi, s.j., curò l'edizione dell'originale del Ricci col titolo: "Opere storiche del Padre Matteo Ricci" in 2 volumi: il primo stampato nel 1911 col titolo I Commentari della Cina, e il secondo nel 1913 col titolo Lettere dalla Cina. I due volumi, stampati a Macerata, ebbero un grande successo, facendo conoscere la vita e l'attività apostolica del Ricci. Ma poiché l'opera del Ricci presenta personaggi e luoghi che si possono comprendere solo con lo studio delle fonti cinesi, che il P. Tacchi Venturi non poté utilizzare, il P. Pasquale M. D'Elia, s.j., volle completare la lacuna, pubblicando in edizione nazionale la stessa opera del Ricci con copiose note esplicative e con vasto apparato critico e scientifico dal titolo: Fonti Ricciane; storia dell'introduzione del Cristianesimo in Cina (3 voi., Roma, 1942-'49).
I Commentari e le Lettere del Ricci contengono una copiosa raccolta di notizie ed è la prima opera apparsa in occidente che dia una descrizione geograficamente ordinata e compiuta della Cina. Mentre le Lettere ci danno interessanti notizie per la conoscenza del territorio cinese, dei suoi abitanti e soprattutto della loro vita e delle loro costumanze, specialmente intorno al periodo 1589-'95, e illustrano i viaggi del Ricci nell'interno del Paese, i Commentari si riferiscono, in modo speciale, alla storia, alla vita e alla civiltà cinese del sec. XVI, che, per gli elementi e il modo della trattazione, assume carattere prevalentemente geografico.
Il Ricci scrisse altri piccoli trattati, che lo resero celebre tra i letterati cinesi: 1) Trattato dei quattro elementi, che risale al 1599-1600; 2)Trattato sulle costellazioni, redatto dal Ricci e messo in cinese nel 1601 da un letterato, discepolo del Ricci, di nome Li Zhicao (più tardi battezzato col nome di Leone); 3) di una traduzione cinese del Calendario gregoriano il Ricci dava notizia in una lettera del 9 maggio 1605; questa versione passò manoscritta fra le mani dei cristiani cinesi e fu stampata solo nel 1625 dal P. Trigault; 4) sotto il titolo di Trattato sul cielo e sulla terra furono raccolti, dopo il 1614, alcuni scritti riccíani sulle prime nozioni di cosmografia e geografia, sulle distanze e grandezza della terra e dei corpi celesti; 5) contributo importante fu portato dal Ricci nel campo della geografia: la identificazione della Cina col "Catai" e di Pechino con "Khanbaligh" di Marco Polo.
DALLE LETTERE


“Et io nel vero confesserò che sia la miglior di tutti questi regni orientali, et oserei dire che a poche città del mondo sia inferiore” (Matteo Ricci, A N. N., Nanchang, 28 ottobre 1595)
“ma per lo più se ne restano nella loro legge, per essere più liberi; ma Iddio a poco a poco con la pratica dè nostri ammolirà i loro cuori” (Matteo Ricci, Al canonico Antonio Maria Ricci, Pechino, 24 agosto 1608)
"Questo concurso non è senza molta fatica, ma con tutto ciò procuriamo di ricevere tutti con le loro cortesie, nelle quali andiamo alcuna cosa esercitati, e con la grazia del Signore, vanno edificati e soddisfatti” (Matteo Ricci, Al P. Ludovico Maselli S.J. – Napoli, Zhaoqing, 10 novembre 1585)



“e non volessimo perdere sì buona occasione per fargli vedere la perfettione della nostra santa legge, che ci insegnava a rendere bene per il male” (Matteo Ricci, Al p. Girolamo Costa S.J. – Siena, Zhaoqing, 12 ottobre 1594)


“e odono con tanto contento e con tante lacrime tutti che molte volte prorompono in molte lodi vere, come se tutti quei discorsi fussero ritrovati solo da noi, e ci pare in questo principio cominciare da cose, che anco con ragioni possiamo confirmare” (Matteo Ricci, Al P. Claudio Acquaviva Preposito Generale s.j. – Roma, Nanchang, 13 ottobre 1596)


“e ci contentiamo porre i fondamenti per un’opera grande, quando Sua Divina Maestà ci apra il cammino” (Matteo Ricci, Al p. Giulio Fuligatti s.j. – Roma, Nanchang, 12 ottobre 1596)


“Piaccia al signore aver mmisericordia di tanti milioni di anime che in questo regno si perdono e, o per una o per altra via, aprire l’entrata libera a predicare la sancta fè” (Matteo Ricci, Al P. Claudio Acquaviva Preposito Generale s.j. – Roma, Nanchang, 13 ottobre 1590)


“Abiamo scritto nella loro lingua il Pater Noster e l’Ave Maria e i comandamenti che a tutti sembrano una buona cosa e li accolgono con allegria. Non sappiamo ancora ciò che nostro Signore vorrà fare e ciò che verrà fuori d questo piccolo lavoro: piaccia al cielo che in tutto si riesca a fare la sua santissima e divina volontà, come tutti noi desideriamo.” (Matteo Ricci, A Giambattista Roman – Macao, Zhaozhou, 13 settembre 1584)


“Mi duole di non produrre questa terra nove che dieno maggior contento ai nostri amatissimi padri e fratelli; pure bisogna che habbiano patientia mentre si semina.” (Matteo Ricci, Al p. Claudio Acquaviva s.j. Preposito Generale – Roma, Shaozhou, 10 dicembre 1593)


“Dio, in primo luogo agli uomini buoni e virtuosi, permetteva che accadessero disgrazie, per rpovare la loro virtù e tenerli appartati dalle cose di questo mondo” (Matteo Ricci, Al p. Duarte De Sante s.j., Nanchang, 29 agosto 1595)


“mi disse che non fu in sogno, ma stando desto, e la miglioranza che si seguitte nella sua persona e nella vita dà testimonio di questo essere vero” (Matteo Ricci, Al P. Ludovico Maselli s.j. – Roma, Pechino, febbraio 1605)


“gli angeli, cittadini della nostra vera patria, che è il cielo, stanno sempre con noi e ci accompagnano in ogni loco; e già in questo mondo abbiamo una caparra certa del bene, che goderemo nell’altra” (Matteo Ricci, Al Canonico Antonio Maria Ricci, Nanchang, 13 ottobre 1596)


“e solennizzò tanto questo mio detto che lo sparse per la città e va dicendo per miracolo che io non dico bugia; e se sarà ben creduto, sarà di grande agiuto per le cose di nostra santa fede” (Matteo Ricci, Al P. Claudio Acquaviva j.s. Preposito Generale – Roma, Nanchang, 4 novembre 1595)


“saprà come questo ampissimo regno sta tutto dato a lettere, cioè composizioni eleganti, che, se fossero scientie, sarebbe manco male” (Matteo Ricci, Al P. Giulio Fuligatti s.j. – Roma, Nanchang, 12 ottobre 1596)


“mi son fatto pecora in mezzo ai lupi, ma senza la semplicità della colomba, senza la prudenza del serpente” (Matteo Ricci, Al P. Girolamo Benci s.j. – Roma, Nanchang, 7 ottobre 1595)


“Non voglio lasciar di raccontare un sogno, ch’ebbi pochi giorni innanzi ch’arrivassi a questa terra. Mentre stavo malinconico per il triste successo di questa andata e pei travagli del viaggio, pareami che mi si facesse incontro un uomo sconosciuto, che mi diceva: «E tu vuoi pure andare innanzi a questa terra per distruggere la sua legge antica, e piantarvi la legge di Dio?» Io, meravigliandomi come colui potesse penetrare nel mio cuore, gli risposi «O voi siete il diavolo o Iddio”. Disse colui: «Il diavolo no, si bene Iddio”. Allora io, giacchè sapete questo, perché fin ora non mi avete aiutato?” Disse egli allora: «Andate pur in quella città”; e parea che mi mostrasse Pechino, «e quivi vi aiuterò”. Entrai io nella città con gran fiducia, passai per essa senza niuna difficoltà. Et questo è il sogno. Considerando poi io il successo della nostra entrata in Nanciano, intesi, che Dio volle consolarmi con quel sogno; et piaccia a Sua Divina Maestà di confermarlo e farlo vero” (Matteo Ricci, Al P. Girolamo Costa s.j. – Siena, Nanchang, 28 ottobre 1595)


“noi trattiamo di pace e virtude e obbedientia ai principi, e non di guerra e ribellioni” (Matteo Ricci, Al P. Claudio Acquaviva s.j. Preposito Generale – Roma, Pechino, 15 agosto 1606)


“Alfine mi pregò che gli facessi un horiulo di sole, qual gli ho fatto molto bello in pietra negra con i segni celesti in piano, cosa mai vista nella Cina” (Matteo Ricci, Al P. Claudio Acquaviva s.j. Preposito Generale – Roma, Nanchang, 4 novembre 1595)


“piglio grande fiducia nella divina bontà, che vorràche questa sia una delle sue opere, poiché la fa passare per l’istesso cammino” (Matteo Ricci, Al P. Claudio Acquaviva s.j. Preposito Generale – Roma, Shaozhou, 15 novembre 1592)


“Gli infedeli stupivano e maggiormente li fattocchiari; insomma né all’hora, né doppo, che si sappia, ha dato il demonio inditio alcuno d’habitare più in quella casa” (Matteo Ricci, Al P. Claudio Acquaviva s.j. Preposito Generale a Roma, Nancian, 13 ottobre 1596)


“E questi giorni addietro, avendogli io detto che alle volte Iddio dichiarava li suoi misterij per sogni, mi contò questo che vidde, e pare che iddio lo scelse per essere una colonna firmissima della fè christiana in queste parti e lo volse insegnare con particolare agiuto” (Matteo Ricci, Al P. Girolamo Costa s.j. a Roma, Pechino, 10 maggio 1605)


“non può non essere felicissima una terra tanto abbondante e tanto ricca di oro, di argento, di pietre di ogni sorta e talmente piena di fiumi e fonti, di alberi e fiori profumati, tanto che il cinese né crede né spera in un altro paradiso se non quello che loro stessi trovano in questa vita” (Matteo Ricci, A Giambattista Roman - Macao, Zhaoqing, 13 settembre 1584)


“la Cina è tanto bella e temprata che sembra tutta un giardino e non si può imitare cosa tanto dolce” (Matteo Ricci, A Giambattista Roman - Macao, Zhaoqing, 13 settembre 1584)


“E questo rumore è come tra noi gli alchimisti della quinta essentia, et molti venivano per imparare questa scienza, che è tenuta tra loro per cosa de huomini santi” (Matteo Ricci, A N.N., Nanchang, 28 ottobre 1595)



“I già fatti cristiani sono più siduo milia; e non è maggiore il numero, perché in questi principi più utile intendiamo essere pochi e buoni, anziché molti, meno rispondenti al nome cristiano” (Matteo Ricci, a P. Girolamo Costa s.j. - Roma, Pechino, 6 marzo 1608)


“Sessanta milioni di contribuenti risultano dai libri contabili del re, esclusa la gente umile che non paga il tributo, i ministri di giustizia, di potere e di guerra. Tutti i regni confinanti pagano il tributo, eccetto il Giappone che tutt’ora non lo paga.” (Matteo Ricci, A Giambattista Roman - Macao, Zhaoqing, 13 settembre 1584)


“Tutti i mandarini [letterati] si dividon in nove gradi, e ogni grado ha una tale varietà di uffici che ci vuole molto tempo perché ci si riesca a capire qualcosa, mentre per loro è chiaro come il sole; e per questi nove gradi ascendono di tre anni in tre anni conformemente alla giustizia da ciascuno amministrata e al talento dimostrato nel governo; e così si raggiunge il primo grado cui corrisponde il ruolo di consigliere del re, e che nella nostra lingua chiameremo anziani del re. Tra questi mandarini vige una rigida gerarchia, tanto che l’inferiore parla in ginocchio al superiore, e ognuno ha il proprio compito, senza invadere la sfera d’azione dell’altro. […] Il mandarino va sopra una poltrona, portata a braccia da sei o otto lacchè, preceduto dagli ufficiali con certe scritte e con le chiavi, e i ministri della giustizia con tutti gli strumenti con i quali tormentano e castigano i sudditi […] si svuotano le strade, sia le piazze gremite di gente, e le persone si infilano nelle prime case che trovano aperte, fin anche nei buchi pur di non essere viste; si chiudono le porte, le tende,, le finestre, e il silenzio aleggia tutto intorno, tanto che non si ode nemmeno un respiro, e solamente per aver osato guardare la faccia del magistrato si viene puniti e castigati.” (Matteo Ricci, A Giambattista Roman - Macao, Zhaoqing, 13 settembre 1584)


“In testa e nel cappello si nota la diversità dello stato sociale; perché in un determinato modo porta il cappello il magistrato, in un altro il laureato; differentemente il letterato, e così lo scrivano, e il plebeo, come in modo diverso lo porta il figlio del nobile e il figlio del villico” (Matteo Ricci, A Giambattista Roman - Macao, Zhaoqing, 13 settembre 1584)


“vi sono molti tra loro che hanno le unghie più di un palmo e mezzo lunghe, et acciocchè non se le spezzino, le mettono dentro cannelli di canna assai lunghi, come detali, che pare ai nostri cosa assai sconcia, ma a loro cosa di molta gravità, e sono più facili che vetro da spazzarsi” (Matteo Ricci, A P. Claudio Acquaviva s.j. Preposito Generale – Roma, Pechino, 26 luglio 1605)


“è cosa di riso quello che dicono, e di maraviglia di puoco che sanno, perché tutti si diedero alla moralità e elegantia del parlare, o per meglio dire, dello scrivere.” (Matteo Ricci, A P. Claudio Acquaviva s.j. Preposito Generale – Roma, Nanchang, 4 novembre 1595)


“Convinto dell’importanza che nella cultura cinese hanno l’amabilità e l’affabilità del tratto e della conversazione, come espressione di gentilezza dell’animo, metteva tutto il suo impegno nel coltivare tali virtù esercitandole[…] Egli riuscì a stabilire tra la Chiesa e la cultura cinese un ponte […] Padre Matteo Ricci è rimasto in Cina anche dopo la sua morte. Il terreno per la costruzione della sua tomba fu donato dallo stesso Imperatore, e a chi simeravigliava di una decisione non ancora mai avvenuta nella storia della Cina, il Cancelliere dell’Impero rispose: «E neppure è mai capitato nella storia della Cina che sia venuto uno straniero così eminente di scienza e di virtù come il Dottor Ricci».  […] La tomba di Matteo Ricci a Pechino ci rammenta il chicco di grano nascosto nel seno della terra per portare frutto abbondante.” (Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II al Convegno di studi sulla figura di Padre Ricci, 26 ottobre 1982)



“Le intuizioni di P. Matteo Ricci non furono sempre valutate, in seguito, nel loro giusto significato. Di esse dobbiamo dire, con l’immagine del Vangelo, che sono state un seme soggetto sì alla morte sotto terra, ma solo per svilupparsi in albero rigoglioso carico di frutti” (Lettera in preparazione al Congresso di Studi Ricciani dell’ottobre del 1982 per commemorare il IV centenario dell’ingresso di P. Matteo Ricci in Cina, inviata dal Santo Padre Giovanni Paolo II al Vescovo di Macerata Mons. Tarcisio Carboni).
Matteo Ricci e il suo clavicordo.
IL PALAZZO DELLA MEMORIA - 

Possibile ricostruzione di un sistema di Diplomazia e cultura

Dott. Paolo Sabbatini, Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Shanghai, 2008-09.





La missione di Matteo Ricci in Cina è una straordinaria storia di strenuo lavoro, diplomazia, cultura, religione, stile di vita e successo: in questo caso la realtà è molto più eccitante e sorprendente di qualsiasi finzione e va oltre ogni immaginazione. Il grande contributo di Matteo Ricci alla storia del genere umano deve ancora essere apprezzato nella sua interezza, essendo la sua vita stessa un gioiello dalle mille sfaccettature, che moltiplica da luce che riceve da ogni angolo lo si guardi.


Qui ci concentreremo principalmente su uno dei numerosi aspetti delle attività e dei talenti di Matteo Ricci: la sua abilità di comunicazione (“da P.R.” diremmo oggi) e la sua capacità di combinare le due culture (occidentale e cinese) in un sistema capace di coniugare ambedue le immense tradizioni: i Classici Romani e i Classici Cinesi. Matteo Ricci era, nel suo campo, un uomo del Rinascimento, alla stregua di Michelangelo e Leonardo da Vinci per le Arti e le Scienze. Era portato per le Arti (Belle Arti, Scienze Naturali, Letteratura Classica occidentale, e Musica) ma anche in altre discipline: sapeva come stampare libri, riparare orologi e pendoli, costruire case e si intendeva di agricoltura. Senza menzionare il suo sapere concernente le religioni e le Sacre Scritture.
Può essere considerato a tutti gli effetti un “uomo enciclopedico”, come tanti prima di lui hanno aspirato ad essere (Dante Alighieri, Pico Della Mirandola, Giordano Bruno tra gli altri). Si trovava a proprio agio sia presso la Corte Imperiale di Pechino, sia nella più umile casa di qualsiasi comune cinese.
Tale straordinarietà era dovuta al suo generoso temperamento e al carattere innato, ma anche al suo rigore e alla educazione d’alto livello che ricevette alle scuole di Macerata, la sua città natìa, e a Roma, al Collegio dei Gesuiti (al tempo la culla delle migliori menti d’Europa).
Al Collegio Romano imparò infatti i Classici e le discipline regolari, nonchè le più raffinate e segrete capacità dell’ “arte della memorizzazione”.
Noi lasceremo parlare le tecniche e la storia dell’ “arte delle arti” attraverso i grandi lavori di Spence e della Yates.
Il nostro obiettivo, qui, è dare accenni su come Matteo Ricci potesse avere preparato un sistema di memorizzazione (per vari scopi: dall’apprendere la cultura cinese, al trasmettere i valori della religione cristiana) adattabile alle menti dei suoi discepoli cinesi, e a cosa quel sistema potesse somigliare.
L’arte della memorizzazione è, di fondo, un sistema ricomprendente l’Universo nei suoi innumerevoli aspetti.
L’Universo, inafferabile agli occhi del profano, è coerente nelle menti dei pochi dotati che possano afferrarne il meccanismo e le relazioni fra i suoi elementi. L’importanza di Confucio nella tradizione cinese è paragonabile all’importanza di una catena di studiosi occidetali iniziati alla cosiddetta affiliazione “neo-platonica”, cui Matteo Ricci era manifestatamente interessato.
L’arte della memorizzazione è principalmente la costruzione di un “palazzo virtuale” nella mente dell’adepto.
Relazionandola agli insegnamenti dell’Antica Grecia, dell’Antica Roma e del Medioevo, così come organizzata da studiosi quali Cicerone e San Tommaso, la disciplina prevede la visualizzazione di stanze, o spazi, riempiti di oggetti o immagini collegati a concetti e parole.
Ciascuna stanza può essere collegata alle stanze per consequenzialità o per affinità. Un esempio: ancora oggi, in Italia, gli studenti di medicina ricordano i nomi delle ossa della mano immaginando la seguente sequenza: “una barca a forma di semiluna arriva alla Piramide di Pisa portando a bordo un trapezio, un trapezoide, e una testa appesa ad un uncino”.
L’indovinello simbolico rimanda semanticamente alle seguenti parole:
barca = Scafoide
semiluna = Semilunare
Piramide = Piramidale
Pisa = Pisiforme
trapezio = Trapezio
trapezoide = Trapezoide
testa = Capitato
uncino = Uncinato
Al tempo di Matteo Ricci la pratica suddetta era comune e gli studenti erano soliti applicarla ad ogni disciplina da studiare, creando catene e enigmi a ripetizione e facendoli corrispondere, col passare degli anni, ad ben organizzate ed effettive strutture mentali: è molto più semplice per il pensiero andare avanti e indietro, percorrere corridoi e stanze pianificate, sulla base di una planimetria conosciuta, piuttosto che errare in un disordinato labirinto senza fine.
Potremmo dire che cotale sistema sia l’antesignano di un “videogame” mentale: l’intenzione finale è, ad ogni modo, completamente differente. L’arte della memorizzazione è lo sforzo di allineare la mente con l’armonia dell’Universo, seguendo le stesse regole dettate in illo tempore dalla Mente Divina.
Sfortunatamente Matteo Ricci non lasciò ai posteri una descrizione dettagliata del Palazzo della Memoria costruito nella sua mente durante gli anni trascorsi in Cina.
Nel suo libro sulla memoria egli lasciò solo scarne indicazioni di taluni contenuti, a loro volta fonte di ispirazione del libro di Jonathan Spence: principalmente sunto di idee e immagini mentali, ma lontano dal quel palazzo virtuale aspirante ad essere lo specchio del Creato.
Sappiamo, inoltre, che Matteo Ricci insegnò l’arte della memorizzazione ad alcuni candidati agli esami di Mandarinato, tra cui spicca Xu Guanqi stesso, il quale – come sappiamo – ne conseguì straordinario successo.
Ricci certamente ammobiliò un “Palazzo della Memoria” al fine di consentirgli la memorizzazione delle migliaia di caratteri cinesi che più tardi l’avrebbero abilitato a divenire un riverito studioso cinese. Probabilmente usò nuove idee, immagini, concetti in un “Palazzo della Memoria” già presente nella sua mente dagli anni del suo apprendistato a Roma.
Ricci ha certamente dato a Xu Guanqi e ai suoi altri studenti le tecniche per costruire nuovi Palazzi della Memoria e forse le “chiavi celestiali” per aprire il suo stesso palazzo virtuale.  L’arte classica della memorizzazione raccomanda effettivamente che ognuno formi un proprio palazzo della memoria con segni, connessioni e immagini personalizzate.
Ma le regole per la sua costruzione dovrebbero essere le stesse per tutti.
Potremmo allora procedere per ipotesi.
Matteo Ricci certamente conosceva i procedimenti di Giulio Camillo Delminio, uno studioso italiano che fu una delle più famose e celebrate figure d’Europa nel XVI secolo.
Giulio Camillo aveva creato un “palazzo della memoria” con la forma della gradinata di un teatro, basata sul numero “7” e i suoi multipli.
Questo palazzo virtuale conteneva 49 scatole, o stanze, correlate da passaggi e corridoi; era in sostanza un “quadrato magico” composto da 7 file di 7 stanze, ciascuna dotata di una porta/arco, disegnato con varie immagini e riempito con simboli e abitanti virtuali.
Il numero 7, numero magico secondo la tradizione occidentale, corrisponde ai 7 pianeti principali che influenzano gli esseri umani sulla terra: da sinistra a destra, la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno.
Giulio Camillo divisò un sistema mistico in 49 stanze, costruite orizzontalmente e verticalmente, seguendo un complesso gioco di corrispondenze esoteriche e astrologiche: il suo lavoro fu considerato un puro tesoro, studiato da Re e uomini di Corte in tutta Europa.
Ricci venne alla luce poche decadi dopo la morte di Giulio Camillo e aggiunse un vasto obiettivo religioso e missionario a quello del sistema filosofico di Giulio Camillo: l’evangelizzazione della Cina. Per “diffondere il Verbo [1]” Matteo Ricci doveva includere il Vangelo nel Palazzo della Memoria. 
Una possibile traccia di come la scelta di Matteo Ricci fosse caduta proprio sul sistema di Giulio Camillo basato sulle 49 stanze, ci viene dalle raccomandazioni agli studenti formulate dai Padri della Chiesa: “quando memorizzate, pregate”; imprescindibile è la rimembranza delle parole della preghiera del “Padre Nostro”, composta personalmente da Gesù Cristo, come dice il Vangelo.
Abbiamo scoperto che questa preghiera contiene esattamente 49 parole latine, alcune delle quali non sono, a rigore, necessarie e ridondanti per la sintassi del testo, come alcune preposizioni (“sicut et nos dimittimus”…etc).
Ciò significa che il misterioso sistema di memorizzazione per i giovani cattolici era basato su un palazzo di 49 stanze, ciascuna collegata alle altre dalle parole del “Padre Nostro”, come i grani di un rosario.
Abbiamo riempito perciò il palazzo di Giulio Camillo con le parole di quella preghiera, inziando dalla base (il piano più basso) e procedendo verticalmente, colonna per colonna, da sinistra a destra.
Poi abbiamo tradotto in caratteri cinesi le lettere latine e formato “famiglie” di caratteri collegati per significato o per ripetizioni di alcuni componenti.
Per mostrarvi alcuni esempi:
a) Il primo riquadro, o stanza, del palazzo, corrisponde alla parola “Father” (n° 1);
b) Il riquadro al centro, o stanza, del palazzo, corrisponde alla parola “da” (n° 25);
c) L’ultimo riquadro, o stanza, del palazzo, corrisponde alla parola “malo” (n° 49).

Il primo riquadro e’ legata alla prima parola della preghiera: “pater” = “Padre”. La traduzione letterale in cinese e’:
fu qin = 父亲.
Il carattere fu  puo essere associato a martello = fu tou 斧头Il carattere qin  include due altri caratteri:
lì立 = stare in piedi
mù  = legno
In questo caso l’associazione all’immagine n.1 vorrebbe essere un padre in piedi vicino ad un albero con un martello in mano. Abbiamo associato questa immagine mentale anche con la prima carta dei Tarocchi, Il Bagatto, un uomo in piedi.
Nel riquadro 25 troviamo la parola:
“da” = dare, parte della frase “dacci oggi il nostro Pane quotidiano”.
Cio’ e’ tradotto con “gěi” , carattere composto da: 
sī  = seta
ré = uomo
kŏu = bocca.
Giulio Camillo ha indicato i riferimenti mitologici per questa cornice: l’Eroe latino Enea col ramo dorato per penetrare negli Inferi. L’immagine potrebbe anche essere un uomo, magari un amico, con un mantello di seta e un ramo dorato.
Il riquadro n. 25 e’ proprio il centro della piazza magica e racchiude il tema piu’ importante della religione cristiana: il dare, l’essere generosi.
Lultimo riquadro (n. 49) contiene la parola finale della preghiera: “malo” = il Male, parte della frase “liberaci da tutti i mali”.
La parola corrisponde al cinese “móguí” 魔鬼.
Pensiamo che Matteo Ricci potrebbe aver introdotto in questo riquadro il concetto di Bene che supera il Male. Lidea potrebbe essere infatti ben rappresentata dal collegamento fra i valori cristiani e quelli confuciani: il carattere “mó” potrebbe, per questo, essere frammentato in:
fángzi 房子= casa
lí = foresta
Dall’altro lato, il concetto di Bene puo’ essere ben rappresentato perfettamente da “hăo” , suddiviso in:
nü = donna
zi = figlio.
Si puo’ visualizzare in questo modo la meravigliosa immagine che ci ha dato Matteo Ricci della Vergine Maria che tiene fra le braccia il Figlio Gesu’ Cristo e uccide con i piedi il Diavolo rappresentato dal Serpente.
Qualcuno potrebbe anche visualizzare una casa immersa in una foresta come sfondo di questa immagine sacra. Il gioco delle corrispondenze fra le diverse parti del Palazzo della Memoria trova percio’ la sua sintesi nei concetti poc’anzi espressi: all’inizio il Padre e alla fine la Madre passando per la figura centrale del dare inteso come Amore.

[1] Questa divisa araldica appartiene allo stemma vescovile di Monsignor Tarcisio Carboni, vescovo di Macerata, e zio dello scrivente. Questo studio è dedicato a lui, con molta umiltà, e alla santa memoria dell’ “Apostolo della Cina”.


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